giovedì, agosto 30, 2007

bianco

Dopo aver interpretato l’alieno emaciato dell’ottimo “L’uomo che cadde sulla terra” di Nicolas Roeg , David Bowie diventa il Thin White Duke, si seppellisce nella propria abitazione di Los Angeles, segue una dieta basata prevalentemente su cocaina, latte e peperoni rossi (cosi’ narrano osservatori diretti) e sprofonda in un uno stato psicotico modellato intorno a interessi esoterici dell’epoca: disegna pentagrammi sui muri e si difende da streghe che vogliono rubargli lo sperma. Pare che in seguito abbia dichiarato, parlando di Los Angeles, “dovrebbero cancellare quel fottuto posto dalla faccia del pianeta” ma è li che nasce “Station to Station”, disco di funk scultoreo e gelido che contiene ancora il “soul di plastica” del precedente “Young Americans” e anticipa il pop sperimentale della trilogia berlinese che verrà da li a poco. E’ il suo disco che ascolto di più di recente e che mi accompagna nella transazione tra estate e autunno insieme a “Il falo’ delle vanità” di Tom Wolfe, altro dandy bianco. Erano mesi che lo adocchiavo in libreria e il viaggio in treno per Milano ha fornito una scusa provvidenziale per comprarlo.