manna
Che gusto Drag Me to Hell: fa il suo mestiere. E il suo mestiere è trascinarmi attraverso lo schermo nella dimensione parallela in cui sono quindicenne, intrappolato in una lunghissima e immobilissima estate piena di VHS. Film con una bizzarra fissazione per il cavo orale - che Raimi non ci aveva mostrato appieno - e una passione per fluidi organici miasmatici di cui sapevamo già. Un super B per cui non si sarebbero spese le parole del LA Times "With that fire in his belly, Raimi's Drag Me to Hell does everything we want a horror film to do: It is fearsomely scary, wickedly funny and diabolically gross" o del New York Magazine "Truly, this is manna from hell" se non fosse che, si sa, il genere horror è in declino: vero i film non sono potenti e pop come negli anni 80 e certamente pochi si sognano di riuscire a fare satira o critica sociale usando mostri come sarebbe potuto accadere nei 70 ma è anche vero che il genere è disceso nelle fibre di moltissima produzione visiva mainstream.
La prima volta che ho realizzato la transizione fu durante i primi anni 90 e specificamente durante la prima visione del videoclip dei Prodigy "No Good (Start the Dance)” che ardkore!, che spaghetti!, che pop! - che scalava le classifiche esoticizzando in pochi minuti la natura trasgressiva delle feste illegali da cui discendeva quel suono meraviglioso: regia, luci, montaggio immaginavano una versione iper-cinetica e funky (ma ancora ansiogena) dell'horror per un pubblico esteso. Da allora in poi è praticamente impossibile indicare tutti i cliché e le suggestioni horror che ci capita di vedere ovunque. Il genere si è sciolto come una pastigliona velenosa nelle tubature dell'acqua potabile.