lunedì, marzo 26, 2007

L'iPod di HP Lovecraft















Comus - First Utterrance
Michael Jackson - Off the Wall
Excepter - Alternation

Mamoru Fujieda - Pattern of Plants

My Bloody Valentine - Loveless
Yuko Nexus 6 - Journal de Tokyo
Amon Duul II - Phallus Dei
Sun Ra - Space is the Place
Van Halen - II
Colleen - The Golden Morning Breaks




domenica, marzo 25, 2007

Carta da Parati

“Tutto in Wallpaper è soddisfazione dei desideri e far credere. La metodologia violenta-budget di Brûle consiste nel trovare una location desiderabile a Londra, Stoccolma o sul Lago di Garda, dipingerla, riempirla di mobili e accessori, ornare il posto con modelli di agenzia per dargli un aspetto vissuto (vissuto dai modelli naturalmente) e far entrare i fotografi”

Buona sintesi di Rick Poynor – critico e divulgatore del design – contenuta nel divertente “Obey the Giant” del 2001. Wallpaper è stato un caso editoriale di successo (prima rivista europea acquistata da Time Inc.) e, nella seconda metà degli anni novanta, una guida per consumatori di successo, cosmopoliti ed esigenti. Con una grafica che alludeva alla mitologia degli spostamenti intercontinentali in aeroplano e all’edonismo bonario degli anni cinquanta, Wallpaper aveva l’ambizione di stabilire uno standard all'ostentazione del privilegio tramite shopping per una generazione urbana vorace, poco propensa all’ironia e con un livello di attenzione decisamente limitato.

Sono passati i tempi d’oro e il fondatore Tyler Brûle è stato columnist per il FT e ha lanciato il nuovo mensile Monocle. Ciononostante, non sono riuscito a resistere alla tentazione di acquistare la Wallpaper City Guide di Milano durante una recente incursione presso la Hoepli. S’inizia con le informazioni essenziali e alla voce “Costo della Vita”: ecco i prezzi per procurarsi un taxi, un cappuccino un pacchetto di sigarette, un quotidiano e una bottiglia di champagne. Il resto è un itinerario tra i comfort della città pensato per una permanenza lunga, realisticamente, tra le 24 ore e i tre giorni. Milano è sostanzialmente rimossa, la sezione sport e SPA è più nutrita di quella sulle attrattive caratteristiche. Nessuna frizione con il posto reale, il fine ultimo è quello di rassicurare il lettore mentre sceglie con simulata competenza l’opzione più adeguata. Addirittura, cosa strana se si parla d’Italia, poco spazio dedicato alla ristorazione: giusto due o tre posti gettati li senza indicazioni precise sulla cucina e una lamentela sulla scarsa attenzione all’illuminazione che affligge i ristoranti locali. In sostanza un manualetto neo-puritano, un breve vademecum per entrare (con il minor piacere possibile) nella schiera dei pochi prescelti dal gusto immacolato.

venerdì, marzo 23, 2007

Sterminatore americano

Acclarato che Plan B sia uno dei migliori mensili musicali inglesi che il denaro possa comprare, non e' detto che la creatura dell'immensamente autoriferito Everett True sia immune da sviste. Ad esempio, il numero di marzo contiene una recensione del nuovo RTX Western Xterminator che recita "Jennifer Herrema...era nei Royal Trux, che erano una specie di versione americana dei Primal Scream". Che, senza voler mancare di rispetto ai firmatari del fondamentale Screamedelica, e' un po' come dire che Roger Federer fa una specie di versione televisiva delle mie partite di ping pong. Ma de gustibus.

giovedì, marzo 22, 2007

Guitar Hero

domenica, marzo 18, 2007

In memoria di me


Un sottile disappunto perche' un film non e' piaciuto a sufficienza? Mi e' capitato con "In memoria di me" di Saverio Costanzo: ho tifato per un paio d'ore per il regista. Se non ci fosse stata quella scena quasi- fantascientifica con il malato terminale che attraversa lentamente il corridoio sfocato del convento, se non ci fosse stato quel bacio che sa di accademia, se Costanzo avesse amato meno gli spazi, i volti e i silenzi. Come quando si riconosce una forma di animale o di persona nelle nuvole o si intravede gia' il disegno prima di unire i punti in quei giochi enigmistici, "In memoria di me" esige uno slancio dello spettatore, un piccolo aiuto che lo aiuti a diventare il film che sarebbe potuto essere. Eppure e' una pellicola interessante, coraggiosa e profonda. Cancellero' il disappunto chiudendo un occhio sulle macchie e decidendo fin da ora che entrera' nella lista personale degli italiani preferiti della stagione.

Illustrazione Mel Bochner "Untitled" - 1996

domenica, marzo 04, 2007

Alpha Dog

Il film di Nick Cassavetes funziona come un meccanismo a orologeria verso la tragedia. Chi non conoscesse già il fatto di cronaca nera legato alla cricca di Jesse James Hollywood, avvertirebbe comunque l'incombenza del crimine attraverso le scritte in sovraimpressione che introducono tutti i personaggi come "testimone" (seguito dal numero identificativo usato durante il processo).
L'ambientazione è efficacemente oppressiva. Tutti i membri della gang appartengono alla borghesia di Los Angeles e hanno la fissa del gangster rap: feste, piscine, pistole, video-games, genitori drogati, automobili costose, tatuaggi, valley girls, abigliamento sportivo pseudo-ghetto. Una specie di Beverly Hills 90210 malata in cui tutti fingono di vivere a South Central. Il fastidio dato dal mix di stupidità e brutalità dei personaggi sarebbe stato decisamente attenuato se l'ambientazione fosse stata la micro criminalità di qualsiasi altra città statunitense, per non dire europea.
Peccato per le tante sbavature pop/estetizzanti (come la scena della seduzione in piscina, tra l'altro
di per se, bellissima ) che mal si adattano all'intelaiatura della narrazione.